la luce, non solo nei tuoi occhi.
arturo ghergo
Il Biondo, lo chiamavano a Montefano. Nato il 20 Agosto 1901 da Carola e Giuseppe, Arturo non ha molta voglia di lavorare, è spiritoso, suona la chitarra e canta bene, gioca a biliardo e ha successo con le donne. Attraente, affascinante, capace di capire le donne, le fa sentire belle, le guarda negli occhi. Ma sarà attraverso i suoi – di occhi – che diverranno delle semidee, lui farà loro incarnare la bellezza dei canoni classici e tuttavia, la luce con la quale le inonderà, troverà la strada di una modernità spiccata e sensuale.
Aperto a Macerata lo Studio Fotografico con il fratello Ermanno, che sarà per lui guida e mentore nell’arte fotografica, inizia il suo cammino in una città che si sta risvegliando all’arte e al Futurismo: diventerà presto l’Atene delle Marche con Tommaso Filippo Marinetti spesso in città, Valeriano Trubbiani, Vladimiro Tulli, Ivo Pannaggi.
Qui Arturo si fa strada, impara l’arte e la mette da parte e poi decide di andare a Roma.
Nonostante le difficoltà economiche, agli inizi degli anni ‘30 riesce ad aprire uno Studio Fotografico in Via Condotti, al civico 61, in pieno centro città. Dice” Basta che io m’impegni. A risolvere penserò dopo”.
L’arte di ingegnarsi non è solo sua, il periodo storico necessitava di uomini e donne che sapessero guadagnarsi la giornata, ma la partenza è già traguardo. Lo Studio resterà aperto fino al 1999, grazie ad Alice – sua moglie – e a Cristina, una delle sue due figlie, che diverrà anche lei fotografa famosa nel mondo della moda. Irene prenderà invece la strada della Televisione, divenendo giornalista e autrice di successo per le maggiori emittenti del Belpaese.
Racconta la moglie Alice: “A volte doveva ricorrere a un mezzo estremo per far fronte ai pagamenti, impegnare il suo unico obiettivo. Se in quel periodo capitava una cliente, Ghergo senza scomporsi scattava la fotografia senza obiettivo e, contrariamente alle sue abitudini, chiedeva un acconto che usava poi per riscattarlo. Quando la cliente ritornava per vedere i provini, con una scusa la fotografava di nuovo, questa volta con l’obiettivo”.
Già, Alice Barcinska, detta Lala. Una donna moderna per quegli anni, erede di una ricca famiglia di industriali tessili. Si presenta un giorno nel suo studio, vuole lavorare come sua assistente, non come modella. Sarà la donna che lo illuminerà nella vita e nel lavoro. Alice racconta “…e quando un giorno, una donna bellissima fa il suo ingresso nel suo Studio, di lì a poco si schiudono ad Arturo le porte del Bel Mondo romano, è l’inizio del successo e lo studio Ghergo diventa crocevia del mondo del cinema, della cultura e della nobiltà. L’ascendente psicologico che ha sul soggetto da fotografare è grande, tanto che non di rado principesse, contesse, dive e divine finiscono per svenire sotto il caldo delle luci e a causa della posa interminabile: “Questo è il momento” dice Ghergo“ in cui la volontà del soggetto non si oppone più alla volontà del fotografo”. Ghergo manifesta nelle sue fotografie una capacità tecnica di tutto rilievo; lo Studio viene organizzato per competenze, luce, inquadratura, un uso sapiente e quasi chirurgico del fotoritocco manuale. Ritratti di donne, solo viso o a figura intera, che trasfigurano, l’obiettivo di Ghergo le trasforma in divinità, ottiene silhouette moderne, lampade semplici, posizionate vicinissime al soggetto e sapientemente usate, pennellano luci ed ombre su primi e primissimi piani. Le clienti non sospettano affatto che l’incarnato perfetto, la vita sottile, le splendide pieghe di un abito siano frutto consapevole di un’arte fantastica che unisce lo sguardo dell’artista alla manualità del ritocco perfetto, in questo coadiuvato dai primi anni ’40 dal migliore dei suoi stampatori e collaboratori: Antonio Bosco.
La camera oscura è un mistero. Il tocco di Ghergo è ricercato, ed è costoso: è una “firma”.
Improvvisamente licenzia Alice. Si è innamorato di lei, pensa che non possano più lavorare insieme, ma si scopre ricambiato, la sposa. Il sodalizio professionale si è trasformato in quello di una vita.
Un giorno arriva in Studio Alida Valli, splendida icona dei tempi: Arturo fa di lei venti ritratti, Alida vede 20 donne diverse. E con lei prosegue il viaggio dentro il Cinema iniziato fin dal suo arrivo a Roma: attrici bellissime e famose si fanno ritrarre da Ghergo e lui le rende inarrivabili, semidee. Il modello iconografico di gusto classico si contamina di glamour, in una cifra stilistica tanto cara a Condè Nast, Casa Editrice statunitense fondata nel 1909 da Condé Montrose Nast che pubblicava già alcune fra le riviste più note dell’editoria statunitense e mondiale, tra cui Vogue, Vanity Fair e The New Yorker. Fin dagli inizi le inarrivabili stampe in bianco e nero dello Studio Ghergo erano
state utilizzate dagli Stabilimenti Ferrania, azienda savonese produttrice di materiale fotografico, per la diffusione delle loro carte fotografiche. Quando la Ferrania comincerà a produrre materiale e negativi 18X24 per la stampa a tre colori, arriverà a Roma dall’amico Ghergo il Direttore Generale Teodori e gli chiederà di collaborare con l’Azienda per le loro campagne pubblicitarie, stavolta a colori.
L’Italia sta cambiando, ancora una volta, e Ghergo coglie “lo spirito dei tempi”, fa incursioni in un mondo che avrà sempre più peso e valenza: quello della comunicazione. La cultura fotografica assume funzione comunicativa in un Paese ancora scarsamente alfabetizzato, in cui il visual, come diremmo oggi, è essenziale per imporre nuovi modelli di vita. La forbice fra la pittura – elitaria ed educativa – e nuove forme visuali emergenti si stringe, a favorire la nascita di una cultura nazionale, popolare e unitaria. La nascita e la diffusione di mezzi di comunicazione come i cinegiornali, i film e i periodici rendono l’immagine – in primis quella fotografica – trait d’union fra l’élite e il popolo.
Agli inizi degli Anni ’50, nonostante i suoi nuovi percorsi stilistici, Ghergo avverte l’esigenza di evolvere il proprio mondo creativo e inizia a dipingere.
Luce, ombra, negativo, proiezione: questi elementi emergono come aspetti principali dei suoi quadri. Le sue opere destano molto interesse nel mondo artistico dell’epoca ma Arturo Ghergo muore a soli 58 anni nel gennaio del 1959 lasciando di sé un ricordo indelebile. I magnifici ritratti di donne famose e bellissime, di attori virili ed eleganti, di principi e principesse, le copertine di magazine importanti e le immagini pubblicitarie hanno fatto di lui un uomo dentro la storia, non un semplice riproduttore di realtà, bellezza ed eleganza ma il “portatore” di un messaggio all’avanguardia.
La Fotografia, il Cinema, la Stampa – forieri di nuove strategie politiche, sociali ed estetiche – hanno creato un sistema di informazione/comunicazione prima inesistente: in questo periodo storico l’italiano medio (nella sua più positiva accezione) è diventato, grazie a loro, un fruitore multimediale che si affaccia al mondo non più soltanto attraverso la parola ma anche, e soprattutto, l’immagine.